FA RIDERE, MA ANCHE RIFLETTERE

Tre pezzi di genere “demenziale” che fanno ridere ma anche riflettere, di Elio e le Storie Tese, Freak Antoni e Immanuel Casto.

Il riso abbonda sulla bocca degli stolti, diceva il maestro delle scuole elementari. Risus abundat in ore stultorum, dicevano i professori delle medie e delle superiori, rincarando la dose con del severo latino. Quello del riso inopportuno è un tema antichissimo, ma simmetrico nel tempo e soprattutto nell’utilità a un altro tipo di riso, quello satirico.
La comicità dissacrante è uno strumento della comprensione formidabile. Consente di compiere un passo di lato rispetto a una situazione problematica, per poterla osservare criticamente e analizzarne i dettagli con lucidità.

In questo articolo prenderemo in esame 3 pezzi che fanno ridere ma anche riflettere. I primi due rientrano a pieno titolo nel genere del rock demenziale: il primo in particolare ne è un esempio peculiare, mentre l’autore del secondo è proprio l’inventore della definizione dell’intero genere. Il terzo è una boutade scritta da una delle persone con QI certificato più elevato in tutto il Paese.

1. PARCO SEMPIONE – ELIO E LE STORIE TESE

Il primo singolo dell’album Studentessi è un capolavoro di precisione, qualità del suono ed espressione. È retto da un substrato ritmico di world music suonata con djembe e uno stile decisamente fusion. Lo strumento a percussione africano è al centro dell’intera canzone anche nel senso e, anche se viene chiamato per tutto il pezzo “bongo”, nel videoclip si vede chiaramente il presunto suonatore di bonghi (Maccio Capatonda) con un djembe, che, a differenza del bongo, ha una forma a clessidra, sta in piedi da solo e può essere suonato anche a cavalcioni. 
L’equivoco sullo strumento è una delle tante, argutissime trovate che contribuiscono a fare del pezzo una enorme presa in giro, esattamente come il fatto – realmente accaduto – a cui si riferisce. La trama di Parco Sempione, infatti, è questa: un cittadino milanese va a Parco Sempione per leggersi un libro in tranquillità, ma viene disturbato da uno pseudo-africano suonatore di bonghi stereotipato a regola d’arte: rasta, ciabatte, fasce in testa e aria spensierata…ma senza il senso del ritmo. 
Il turbamento del cittadino, nutrito di luoghi comuni (“un fricchettone, forse drogato”), è rafforzato da una serie di frasi in dialetto milanese che esasperano l’insofferenza verso il suonatore e la estendono a una buona parte della popolazione milanese, soprattutto signori sopra i 50 intenti a scambiarsi opinioni al bancone di un bar, ossia l’elettore milanese medio. L’idea è che personaggi come il suonatore fuori tempo siano un problema per la quiete pubblica della città e che infestino i parchi pubblici a bella posta. 

 

Ma ecco che nella seconda metà del pezzo viene fuori la soluzione geniale: radere al suolo i boschi cittadini. Un fatto, appunto, realmente accaduto e che Eelst citano esplicitamente nelle ultime strofe del pezzo. Parliamo infatti dell’ex Bosco di Gioia, un’area verde in zona Porta Garibaldi/Gioia che adesso verde non è più e ospita Palazzo Lombardia. Su quel pezzo di terreno, originariamente di proprietà di una ricca signora milanese, fin dal 1820 venivano commercializzate e anche prodotte frutta e verdura prima, con lo stabilimento ortofrutticolo della famiglia Longone, fiori e piante poi, nel vivaio del floricultore Fumagalli. A causa di una serie di disgraziati passaggi di proprietà, speculazioni e dissennati cambi di piani regolatori, tra il 2000 e il 2001 il vivaio Fumagalli venne sfrattato per fare spazio agli edifici della Regione, ma le piante rimasero e nel giro di un paio di anni diedero vita a quello che i residenti della zona chiamarono Bosco di Gioia, una fitta area verde di 12.000m2 con una grande varietà di piante provenienti dall’antico vivaio. I piani di Comune e Regione per la zona, però, erano chiari: bisognava radere al suolo e gettare cemento, per questo motivo per tutto il 2005 si mobilitarono cittadini e artisti milanesi, tra cui appunto Elio e le storie tese, ma anche Dario Fo e Milly Moratti, raccogliendo firme, protestando, facendo sciopero della fame (“niente cibo per Rocco Tanica”), purtroppo invano.
Il 27 dicembre 2005, approfittando anche dell’assenza di molti cittadini che erano fuori città per il ponte natalizio, cominciarono i lavori di disboscamento e del Bosco di Gioia si persero le tracce, salvo poi evocarne il pallido ricordo con la costruzione del Parco Biblioteca degli Alberi, nato sulla scia della rigenerazione urbana avviata in occasione dell’Expo 2015 e, di fatto, a vedersi, un prato basso e ad alto costo di mantenimento tra il polo finanziario di Gae Aulenti e il Palazzo della Regione.  

2. FELICE LICHENE – FREAK ANTONI E PATRIZIO FARISELLI

Di Roberto ‘Freak’ Antoni, considerato il padre del rock demenziale, si potrebbe portare a esempio tutto il repertorio, da solo o con gli Skiantos. Scegliamo però questo pezzo suonato insieme a Patrizio Fariselli, pianista e compositore, ex componente degli AreA, per celebrare, a poche settimane dal decennale della sua morte, uno dei personaggi più brillanti della scena punk del nostro Paese. Rappresentato dagli altri e anche da se stesso come un “freak”, uno strano, un pazzo da tenere a debita distanza, il lavoro di Freak Antoni ha l’intento di sconvolgere il ragionamento condiviso, perché nella crisi del pensiero comune emergano modi diversi di ragionare.
Il pezzo è letteralmente il delirio di un folle che, oppresso dalle fatiche dell’esistenza, impazzisce del tutto e viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico, deciso a diventare un lichene (farsi=trasformarsi), oppure a perdersi nell’oblio delle droghe psichedeliche (farsi=drogarsi).
“Oggi farsi lichene Conviene. 
Non c’è modo di evitare che la vita ci frantumi ci addomestichi e consumi Che fatica questo circo!
Caro Iddio ho una richiesta posso avere un’altra prova (?) un’esistenza di riserva (?) (Sto bene sto bene sto beneeeee mamma Non ho più l’esaurimento nervosoooo)”
Musicalmente Fariselli propone una composizione di assoluta sperimentazione in pieno stile prog, che trascina il cantato (quasi recitato) di Antoni in una simbiosi melodica perfetta con effetto auto-ipnotizzante, diverso dai soliti pezzi di Antoni costruiti interamente sulla stessa rima baciata. È un ritratto verista senza filtri e anche un omaggio al primo Frank Zappa, caricaturista a suon di chitarra dei personaggi più ridicoli della scena musicale degli anni 60.
Le parole sono dall’inizio alla fine il prodotto diìell’improvvisazione firmata Freak.

3. DEEPTHROAT REVOLUTION – IMMANUEL CASTO

È il pezzo con l’intro più rock e il video più goth di tutto il repertorio di Immanuel Casto, al secolo Manuel Cuni, e si inserisce nel genere dance elettronico. Lo scenario è un “mondo di disagio” dominato dalla guerra, rappresentato da uno skyline industriale, un liquido denso (petrolio? sangue?) che cola sulle persone e pratiche erotiche sadiche. La soluzione del Casto Divo passa semplicemente attraverso il sesso orale praticato senza rimorsi e anzi rivendicandone il valore sovversivo, tra l’altro evocando il gesto dell’headbanging:

“vado su e giù con la mia testa
ma il mio è un gesto di protesta”

Deepthroat Revolution è una boutade perché naturalmente la soluzione proposta è paradossale, ma si inserisce in un quadro artistico coerente, dove i pezzi sono tutti politicamente scorretti, volutamente provocatori e, ancora più paradossalmente, attirano l’attenzione di politici e opinionisti.  Forse perché toccano temi attualissimi (orientamento affettivo e omofobia, idolatria del corpo e dell’apparenza, social media), forse perché il più delle volte si procede per quartine a rime baciate che si fa presto a memorizzare, ad ogni modo l’ironia è subito palese. Ogni strofa va ascoltata con l’idea di assistere a uno sfavillante dramma teatrale in cui il pubblico, invece che stare seduto, balla senza freni, dove l’estetica è deliberatamente esagerata e nessuno, proprio nessuno, si sente escluso.
Guardare un video o assistere a un concerto di Immanuel Casto è un’esperienza divertentissima in cui però il protagonista non ride quasi mai, è anzi serissimo proprio come i migliori attori comici all’opera. Manuel Cuni è, infatti, cantante, attore di teatro, autore di giochi da tavolo e attivista. Il suo primo gioco di carte Squillo è oggi un tale cult che, negli anni successivi al rilascio del 2012, ne sono state prodotte 5 espansioni. Dal 2019 al 2023 è stato eletto presidente dell’associazione Mensa, divisione italiana, un’organizzazione internazionale senza scopo di lucro che include il 2% della popolazione mondiale con il più alto Quoziente Intellettivo.

Il Casto Divo quindi si fa prendere molto sul serio e in numerose occasioni ha spiegato perché il suo è proprio un bisogno fisiologico di serietà, di affrontare determinate tematiche con un metodo preciso, che sia il ragionamento logico o il genere satirico: dopo svariati tentativi di inquadrare il suo spettro comportamentale, che alcuni medici consideravano autistico se non segno di ritardo, ha ricevuto una diagnosi di neurodivergenza. Il cervello del Divo, insomma, non funziona secondo schemi consolidati (considerati “tipici”) ma apprende, elabora e gestisce le informazioni in un modo tutto suo, offrendone i dolci frutti al suo pubblico.

Valeria Iubatti

Similar Posts

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Alberto Pani

Blogger

Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia