We come from the land of the ice and snow: GOAT LEVITATION SESSIONS
Prima di tutto, chi sono questi simpatici druidi mascherati che compongono il collettivo GOAT, il cui nuovissimo…
Prima di tutto, chi sono questi simpatici druidi mascherati che compongono il collettivo GOAT, il cui nuovissimo album da studio CASUALMENTE è in uscita proprio domani? Nessuno lo sa con certezza: la leggenda vuole che Goat sia un progetto nato nel piccolo villaggio svedese di Korpilombolo, antica residenza adottiva di uno stregone che avrebbe avvicinato i suoi abitanti alla religione voodoo. All’ arrivo dei sempre comprensivi e culturalmente aperti Crociati Cristiani, che manco a dirlo si sono presi la briga di distruggere tutto il ridente paesino manco fossero muniti di RUSPEE!!, i pochi fuggitivi superstiti avrebbero lanciato una maledizione sul luogo che fino a poco prima chiamavano casa (anche se in un’ intervista del 2014 la band ha dichiarato in merito che “si tratta di una bella storia, ma potrebbe non essere vera”).

La band attuale è composta da 7 elementi, i tre fondatori originari di Korpilombolo e gli altri 4 di Gothenburg aggiuntisi successivamente. Nessuno conosce la loro identità: si nascondono dietro a maschere variopinte e costumi sgargianti che non fanno che enfatizzare la natura rituale della loro musica e il loro ruolo di sciamani moderni. La carriera da professionisti è iniziata nel 2012 con la firma per la Rocket Science Records e la pubblicazione del primo singolo Goatman, apripista dell’ album World Music.
Si sono esibiti nei più importanti festival a livello mondiale, da Glastonbury nel 2013 e 2015 al Coachella nel 2014, senza dimenticare il Primavera Sound nel 2016 e il Green Man Festival in Galles nel 2023. Al momento la loro discografia conta otto album, cinque da studio e tre live.
E proprio dell’ ultimo uscito di questi tre album live parleremo in questa sede: datato fine 2023, fa parte della serie Levitation Sessions prodotte appunto dalla Levitation.
Le caratteristiche stilistiche che accomunano i brani dei Goat sono la struttura a jam, che incoraggia l’ improvvisazione e dona ai brani una ripetitività da musica divinatoria che esalta la natura mutevole delle composizioni invece di cristallizzarle, e la capacità di produrre un sound in cui una quantità ABNORME di stili musicali diversi, dalla world music alla psichedelia, dal jazz all’ hard rock, passando per funky e musica elettronica, si fondono magicamente senza che nessuno sovrasti gli altri, riuscendo a creare qualcosa di originalissimo pur mettendo orgogliosamente in vista le proprie influenze. Ogni strumento ha un ruolo ben preciso nel contesto del pezzo, comprese le voci che sono più parte di un’ orchestra che protagoniste dei brani.
Il disco si apre con lo
strumentale Tarot Will Teach You, tema portante della colonna sonora del film La Montagna Sacra di Alejandro Jodorowski (e chi conosce il personaggio ha già capito quanto può essere profonda la tana di questi sette bianconigli svedesi).
Influenze di musica latino-americana e funky sono invece gli ingredienti di Golden Dawn: nella parte centrale i chitarristi duellano su un lungo solo, con il primo dei due che inanella una serie di fraseggi country/blues a suon di pedalate di wah e il secondo che fa ululare il suo strumento come un cocker chiuso in uno sgabuzzino, per poi far convergere il tutto in un ruvido finale.
La successiva Under No Nation si sviluppa intorno a un riff di chitarra che potrebbe essere un outtake dei Modjo di Lady (Hear Me Tonight): il cantato a due è scolpito nel groove del pezzo ed enunciato in tono quasi marziale su questo tappeto sonoro saltellante, ma proprio quando si comincia a credere di sapere dove i nostri eroi andranno a parare COLPO DI SCENA e il brano diventa uno strumentale degno degli Iron Maiden.
Immaginate ora di essere su uno degli elicotteri americani che vanno ad esportare la democrazia in Vietnam in Apocalypse Now e potreste farvi un’ idea delle atmosfere suggerite da Behind The Planck. Il tema del sassofono, inizialmente melodico per poi diventare quasi atonale, si incastra alla perfezione con il sound acidissimo della chitarra nella parte solista.
Do The Dance è introdotta da una figura di batteria tribale e cesellata da un riff di basso minimale ma dal groove ENORME: la melodia da banshee del cantato ricorda per qualche strano cortocircuito delle sinapsi Perry Farrell dei Jane’s Addiction, mentre Fill My Mouth, impreziosita da una linea vocale quasi pop che rimane incisa nei neuroni, dopo un break decolla in una jam in cui TUTTI suonano uno strumento a percussione tranne quello che di norma è il BATTERISTA che invece fa un SOLO DI FLAUTO. Quando succede una cosa del genere non si può che ringraziare Spotify per aver deciso di far apparire sul proprio feed momenti così epici.
Il riff di synth introduttivo di Lorcan potrebbe essere quello di Ain’t Nobody di Rufus e Chaka Khan se i musicisti da studio fossero stati tutti strafatti di peyote, per poi evolvere fino a diventare una sorta di On The Run di fluidorosiana memoria aggiornata ai tempi moderni.
In Queen Of Underground abbiamo un riff roccioso di chitarra, synth e basso che potrebbe essere uscito da una session della Band of Gypsies di Hendrix, mentre suggestioni molto seventies permeano Let It Burn: stavolta il groove ha un incedere zeppeliniano, emozionanti gli intermezzi melodici durante i quali cala la dinamica. È il pezzo più smaccatamente hard rock dell’ album, ma si dissolve tutto su un paesaggio sonoro psichedelico dipinto dalle due chitarre.
L’ ultimo brano Midnight Madness non si discosta dalle atmosfere ipnotiche e rituali dei precedenti ed è caratterizzato da una lunga improvvisazione di synth liquido che detta le regole dell’ arrangiamento.

Concludendo, le Levitation Sessions sono un lavoro permeato da un’ energia vibrante, la musica dei Goat richiede attenzione e impegno per essere apprezzata a fondo ma questo viene ripagato da un power up spirituale che solleva il cuore. Insomma, smettete di fare qualsiasi cosa stiate facendo, indossate la vostra migliore veste da druido e andate ad ascoltarlo.
Alberto Pani