Le 10 migliori canzoni dei The Pogues

Una settimana fa ci ha lasciati Shane MacGowan, il frontman dei The Pogues, la band a cui…

Una settimana fa ci ha lasciati Shane MacGowan, il frontman dei The Pogues, la band a cui dobbiamo la nascita di un genere musicale, il folk punk. Agli inizi degli anni ’80, sono stati proprio Shane e l’amico Spider Stacy (co-fondatore, musicista e voce degli ultimi album della band) a unire gli accordi punk con le melodie tradizionali irlandesi.
Di questa Irlanda, profondamente amata e rimpianta, i testi di Shane non hanno cantato i cieli o i prati verdi, quanto invece le contraddizioni, le sofferenze, i vizi, e appoggiandoli su sonorità moderne. E’ proprio ai The Pogues, infatti, che si deve l’ingresso dell’identità irlandese nella musica rock: la stessa che abbiamo trovato negli U2, nei Cranberries e che, ancora oggi, sentiamo in gruppi attuali come i Fontaines D.C. e i The Murder Capital.
E il modo migliore per ricordare un artista a cui dobbiamo così tanto è indubbiamente quello di viaggiare tra i suoi pezzi migliori: alzando il volume e versando un po’ di buon whiskey nel bicchiere, come avrebbe voluto lui.

Photo: press

10. “Transmetropolitan” (1989)

Mai canzone più adatta ad aprire il loro album di debutto, Red Roses For Me del 1984. Ricca dell’immaginario londinese di Shane MacGowan (piena di riferimenti ai luoghi di ritrovo preferiti della band), la canzone è in gran parte la dichiarazione d’intenti del gruppo “Ci ha riunito tutti con i nostri abiti di seconda mano e strumenti obsoleti”, ha scritto James Fearnley in Here Comes Everybody. “Ci ha spinto a marciare attraverso Londra, seguendo Shane come i bambini seguono il pifferaio magico di Hamelin.”

9. “Streets of sorrow/Birmingham six” (1988)

Shane e Terry stavano entrambi lavorando su canzoni relative ai Birmingham Six (i sei uomini irlandesi condannati all’ergastolo per l’attentato ai pub di Birmingham del 1974) quando i Pogues iniziarono a registrare il loro terzo album. Considerandoli entrambi troppo buoni per essere messi da parte decisero di unirli, con il lamentoso Streets Of Sorrow di Woods che fungeva da prologo ideale per la noiosa canzone di protesta di MacGowan in omaggio ai sei uomini ingiustamente imprigionati “per essere irlandesi in nel posto sbagliato e nel momento sbagliato”.

8. “If I Should Fall From Grace With God” (1988)

Spesso definita una “preghiera rock’n’Roll” e non a caso, perché questa canzone unisce tre elementi sacri, almeno per gli irlandesi: la musica, le pinte di birra e la religione. Shane mischia tutti e tre gli elementi, insaporrndoli con appassionato orgoglio natio: “This land was always ours, it was the proud land of our fathers, it belongs to us and them, not to any of the others”

7. “Whiskey In The Jar” (1990)
Pietra miliare del folk irlandese che vanta numerosissime cover – dai The Dubliners, ai The Grateful Dead fino ai Metallica – la canzone si sposa talmente bene con l’identità dei The Pogues da essere diventata un punto di riferimento del loro repertorio. Violini, Tin whistles (i caratteristici flauti a fiaschetto), voce roca e via a ballare: siete ancora seduti?  

6. “The Old Main Drag” (1985)

I Pogues iniziarono a lavorare su The Old Main Drag durante le prime prove ma gli diedero vita grazie ad Elvis Costello durante l‘incisione del loro secondo album, Rum Sodomy & The Lash. La base povera e la crudezza della canzone sono il veicolo ideale per uno dei testi più strazianti di Shane, che ritrae un adolescente irlandese a Londra che scopre le strade piene di degrado. The Old Main Drag rimane oggi una delle migliori canzoni dei The Pogues e certo non per i deboli di cuore.

5. “A Pair Of Brown Eyes” (1985)

Col suo tipico storytelling malinconico e diritto, Shane cattura l’essenza dell’amore perduto, racchiudendola in un paio di occhi marroni, unico ricordo di una persona persa, cercata, rimpianta. Un’immagine così semplice eppure potente, che è impossibile osservare senza immedesimarsi. 

4. “Sally MacLennane” (1985) 
Basata sulla storia del bar dello zio di Shane nell’est londinese, la canzone utilizza le sonorità del folk irlandese per abbinarle alla voce roca e punk del frontman dei Pogues. influenzata dalla diaspora irlandese, i suoi cori travolgenti l’hanno resa presto come una delle canzoni preferite dal vivo. Piccola curiosità: la Sally MacLennane del titolo che Shane desidera non è una dolce donzella ma una birra scura in stile irlandese prodotta in Florida.

3. “Dirty Old Town” (1985)
Il pezzo, scritto nel 1949 da Ewan MacColl e portato al successo proprio dai The Pogues e dai Dubliners, è una canzone dedicata a Salford e la sua nostalgia terrena è stata messa in risalto alla perfezione da Shane MacGowan in una delle sue performance vocali più sentite. Salford, ancora oggi, utilizza la versione di Shane e soci per l’entrata allo stadio della squadra locale. 

2. “A Rainy Night In Soho” (1986)
Shane MacGowan ci porta sonoricamente e visivamente nelle strade di Soho a Londra, in una serata dominata dalla pioggia. La canzone, prodotta da Elvis Costello, ci racconta di un amore sofferto e mai dimenticato, e ci regala alcuni dei versi più belli di MacGowan: “I’m not singing for the future, I’m not dreaming of the past, I’m not talking of the first times, I never think about the last”

1. “Fairytale of New York” (1987)

È raro che critici e fan citino una canzone di Natale come l’apice dei successi di una band, ma Fairytale Of New York non è il solito canto festivo. Questa dolceamara ballata, diventata la canzone di Natale più ascoltata del 21° secolo, ha le sonorità Irlandesi e le parole rozze di una coppia di ubriaconi che sullo sfondo di una New York addobbata per le feste passano dall’amore pieno di speranze al mandarsi al diavolo con un “Merry Christmas your arse, I pray God it’s our last”. 

E noi ci uniamo al coro della migliore canzone di Natale degli ultimi anni per dare il nostro ultimo saluto a Shane McGowan, cantante, artista, mito odierno della working class, poeta brillante della verità.

Linda Flacco e Sara Bernasconi

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