Emozioni liquide: Dal CD allo streaming musicale 

Tutti noi, almeno una volta, abbiamo immaginato di catturare le emozioni di un momento, per poterle conservare…

Tutti noi, almeno una volta, abbiamo immaginato di catturare le emozioni di un momento, per poterle conservare nel nostro “archivio” emotivo personale: potrebbe sembrare un pensiero distante, quasi un’utopia o la trama di un film, eppure, a pensarci meglio, è un meccanismo che attiviamo più spesso di quanto pensiamo. Se state leggendo queste parole è perché, quasi certamente, amate la musica: ebbene, basta pensare al nostro rapporto con le canzoni per realizzare che ogni appassionato vive in un corpo fisico che percepisce la combinazione di una determinata successione di note e di un testo con sensazioni diverse e personali.
La musica è emozione e, nel corso degli anni, abbiamo avuto a disposizione diversi strumenti per archiviare queste sensazioni: quello che vi proponiamo è un percorso digitale, che forse piacerà poco ai nostalgici dei salva-emozioni in silicio, ma che ripercorre una vera e propria rivoluzione, quella della digitalizzazione della musica.

Il Compact Disc
ll primo Compact Disc (Compact Disc Digital Audio) viene commercializzato il 1° ottobre del 1982 in Giappone, insieme al lettore della CBS/Sony, il CDP-101. L’album prescelto è “52nd Street”, successo del 1978 di Billy Joel, artista molto amato in Oriente.
La lettura di questo rivoluzionario oggetto è ottica, mediante un raggio laser che viene riflesso in base alle caratteristiche della superficie del CD. L’audio è in stereofonia campionato a 44.1 kHz e 16 bit, e ha una durata massima di 74 minuti, almeno per i primi modelli. Questo piccolo vinile in plastica si è imposto, nel corso degli anni ‘80 e ‘90, come il nuovo formato di riferimento per l’ascolto musicale, sostituendo commercialmente il vinile, prima, e la musicassetta, poi, segnando così la fine del leggendario e rivoluzionario walkman della Sony.
L
a qualità audio è elevata e caratterizzata da un  suono estremamente pulito e dettagliato, sebbene molti audiofili lamentino la mancanza del sound caldo e morbido tipico dei sistemi analogici.
ll 17 agosto del 1982 la Philips realizza il primo CD musicale della storia destinato alla vendita in Europa: il gruppo che ha l’onore di avere per primo un’incisione su Compact Disc sono gli Abba, con il loro album “The Visitors”.

Il MiniDisc
Lanciato dalla Sony nel 1992 con l’intenzione di trovare un sostituto moderno alla musicassetta, il MiniDisc offre una qualità audio molto vicina a quella del Compact Disc, unita alla possibilità di registrare e cancellare il contenuto un numero quasi infinito di volte, e di poter effettuare operazioni di editing sull’audio stesso.
Pensato anche come soluzione ideale per l’audio portatile, il MiniDisc racchiude e protegge il disco vero e proprio in una struttura di plastica rigida di piccole dimensioni (circa 7 cm per lato); è un supporto magneto-ottico, in cui l’audio è memorizzato in formato digitale compresso (ATRAC, un algoritmo proprietario di Sony) e un disco può contenere fino a 74 minuti di musica.
Il MiniDisc, nonostante l’indubbia versatilità e l’ottima qualità audio, non ha mai ottenuto il successo sperato, principalmente a causa della diffusione dei masterizzatori per CD-R, prima, e dei formati audio liquidi, poi, oltre che al prezzo elevato. 

Napster: nulla sarà più come prima
Quasi allo scadere del vecchio millennio, viene lanciata la piattaforma pirata che ha cambiato per sempre non solo l’industria musicale, ma anche il copyright e la condivisione sul web.
Facciamo un passo indietro: siamo nel 1998 e in una chat room, un utente con il nickname “Napster” svela la sua idea: creare un modo per condividere tra i computer connessi la musica digitale contenuta negli hard disk. La sua idea piace a un baby imprenditore, Sean Parker: i due (la persona che si cela dietro al nickname “Napster” è Shawn Fanning) decidono di incontrarsi per studiarla meglio. Il software viene completato in pochi mesi e nell’estate del 1999, Napster viene ufficialmente lanciato. Da allora, nulla sarà più come prima.

La crescita degli utenti, ma soprattutto delle tracce audio messe in condivisione, è esponenziale: già nell’ottobre dello stesso anno, sulla piattaforma sono presenti 4 milioni di canzoni; nel marzo 2000, a meno di un anno dalla nascita, gli utenti che utilizzano Napster sono oltre 20 milioni.
L’industria musicale non la prende bene: la Record Industry Association of America (Riaa) si raduna a Washington e scopre che tutte le sue canzoni sono presenti su Napster.com.
Sebbene il sito, di per sé, si limiti a consentire agli utenti di condividere dei file, senza conservarli su alcun server, il download è un reato, e così, nel 2001, arrivano denunce per più di 18mila utenti, seguite poco dopo dalle cause intentate dalla Record Industry Association of America, da Dr Dre, dai Metallica e da parecchi altri pezzi da novanta del mondo musicale.  

fonte: Wikipedia

Il download musicale
I tribunali decidono che Napster viola le norme del Digital Millennium Copyright Act e nel luglio 2001, a due anni dalla nascita, la piattaforma chiude i battenti.
Ma poco importa. Nel mondo di internet nascono subito moltissimi cloni della creazione di Parker e Fanning, che in breve tempo rendono il download illegale di musica (e più avanti anche di film e serie tv) un gesto quotidiano per milioni di internauti: Kazaa, Gnutella, Emule, DC++, Audio Galaxy e Soul Seek sono solo i più noti tra i software che riprendono, seppur con notevoli migliorie, lo stesso concetto del peer-to-peer utilizzato da Napster.
Infatti, il 2 luglio 2001, proprio mentre Napster chiude definitivamente i battenti, Bram Cohen lancia su internet quello che è ancora oggi il più importante strumento di condivisione di file in modalità p2p: BitTorrent.

All’inizio degli anni 2000, la musica liquida, libera dai limiti del supporto fisico, non è più il futuro, ma il presente: il gesto di andare a cercare un CD specifico, di estrarlo dalla confezione e di inserirlo nel lettore, si contrappone all’immediatezza dell’ascolto garantita dalla libreria archiviata su PC, iPod o hard disk multimediale.
Sebbene la maggior parte degli store online venda musica in formato compresso (mp3 o acc), si assiste anche alla diffusione dei formati lossless (“senza perdita”), come il FLAC (Free Lossless Audio Codec), che dimezzano le dimensioni rispetto a quelle di un CD ma non rinunciano alla qualità e, anzi, possono suonare meglio del supporto in plastica.

La rivoluzione a forma di mela: iPod e iTunes
Iniziano gli anni 2000 e arrivano nei negozi i primi modelli di contenitori digitali di musica: i lettori mp3. Ormai, ogni PC della terra è pieno di tracce musicali di qualsiasi qualità e formato, e la vera sfida diventa quella di continuare a portare in giro la musica mentre si fa la spesa, jogging o si è in metropolitana.

Il 2001 e il 2019 sono due date fondamentali in questo nostro viaggio, perché segnano rispettivamente il primo e l’ultimo modello di iPod, il lettore musicale lanciato da Apple che ha decisamente accelerato il processo del nuovo modo di fruire della musica. 
La leggenda narra che Vinnie Chieco, un freelance parte del team chiamato a studiare la strategia di marketing per il lancio del nuovo prodotto Apple, alla vista del prototipo abbia immediatamente pensato alla frase del dottor Bowman del film cult “2001: Odissea nello spazio”, ossia “Open the pod bay doors, Hal”: pare, insomma, che il nuovo lettore musicale portatile gli ricordasse le capsule spaziali del film, tutte indipendenti ma, allo stesso tempo, tutte collegate alla nave madre, ossia il nostro PC.

Il 23 ottobre 2001, un lanciatissimo Steve Jobs mostra al mondo quel prodotto.
Le opzioni per poter ascoltare musica «in movimento» ai tempi sono ancora pochissime, costose e ingombranti (basta pensare ai CD portatili) e a Mr. Jobs bastano nove minuti per raccontare la rivoluzione: “A 75 dollari per lettore e 15 canzoni per CD, ogni canzone vi costa cinque dollari. Questo piccolo dispositivo contiene mille canzoni e sta nella mia tasca” – dice Jobs mostrando un piccolo oggetto con il dorso in acciaio, mentre, alle sue spalle compaiono le copertine di dischi pazzeschi.

Prima di iPod, nel gennaio 2001 l’azienda della mela lancia iTunes: una possibile soluzione per combattere la pirateria e rendere legale la musica digitale, grazie a un vero e proprio shop online per comprare musica.
Successivamente, il software si apre a Windows ed entra nel mercato di massa: piano piano, su iTunes, oltre alle canzoni, compaiono anche i film, gli e-book e addirittura i podcast.
Nel 2004, iTunes sbarca anche in Italia, aumenta la disponibilità di formati di compressione e, soprattutto, amplia il catalogo con l’acquisizione di numerosi artisti, come Madonna, i Led Zeppelin e i Beatles, che decidono di vendere la propria musica su iTunes nel novembre 2010. Gli ultimi mostri sacri del rock a cedere sono stati gli AC-DC, circa dieci anni fa.

Nel 2004, Apple inizia a flirtare con le star e firma una edizione speciale di iPod con gli U2: nera, con la rotella rossa e le firme dei membri della band sul retro, la Special Edition è un successo. 
Bono intravede una possibilità nel mercato musicale che sta inevitabilmente cambiando: la band rilascia gratuitamente la nuova canzone “Vertigo” dall’album “How to Dismantle an Atomic Bomb” in cambio di un modello brandizzato U2 di iPod. L’iPod U2 viene lanciato sul mercato, e “Vertigo” diventa la colonna sonora dello spot commerciale. La storia si ripeterà qualche anno dopo: nel 2014, il nuovo album della band “Songs of Innocence”, viene aggiunto automaticamente alle librerie di tutti gli account iTunes, tra le reazioni contrastanti degli utenti, che, a loro insaputa, trovano il download dell’album sul proprio dispositivo.

Dalle piattaforme p2p a Spotify
Costringendo Napster a chiudere, l’industria discografica in realtà non risolve i suoi problemi, anzi, ottiene come effetto “collaterale” la moltiplicazione incontrollata delle piattaforme p2p. Il fenomeno è favorito dalla crisi che le case discografiche vivono nei primi anni 2000: nel 1999, l’industria musicale globale fattura circa 30 miliardi di dollari, nel 2003 si scende a quota 20, e nel 2014, l’anno peggiore, i ricavi toccano “appena” i 15 miliardi. In quindici anni la pirateria ha dimezzato i ricavi della music industry. Scoppia una sorta di caccia ai topi, col continuo proliferare di siti o programmi di filesharing, che rinascono sotto nuove forme pochi giorni dopo la chiusura. 
Ma sul finire del 2010, qualcosa inizia a cambiare: proprio in Svezia, patria di PirateBay, e in Norvegia il downloading cala drasticamente del 25%: un fenomeno che, negli anni successivi, si sparge a macchia d’olio in tutti i paesi avanzati. Un report commissionato dal governo svizzero in quegli anni evidenzia come gli sforzi utilizzati per combattere la pirateria siano costati più soldi di quanti ne abbiano fatti guadagnare alle major del settore.
Si inizia così a parlare di “streaming”, una nuova forma di condivisione che inaspettatamente garantisce il 47% degli introiti: 37% dai servizi a pagamento e il 10% da quelli gratuiti farciti di pubblicità.

Daniel Ek e Martin Lorentzon sono i fondatori della start-up che ha stravolto l’industria della musica: proprio negli anni in cui la pirateria cresce in modo esponenziale, questi due ragazzi pensano a una soluzione che, da un lato, permetta agli utenti di avere accesso illimitato alla musica e, dall’altro, garantisca un compenso all’industria.
È così che il 23 Aprile 2006 nasce Spotify, la piattaforma di streaming musicale destinata a diventare un colosso delle tech-companies e che ad oggi conta oltre 456 milioni di utenti attivi al mese e quasi 200 milioni di abbonati in tutto il mondo.
La startup svedese registra numeri da far girare la testa e nel giro di soli due anni arriva a contare 20 milioni di utenti tra Europa e Stati Uniti: il suo successo è clamoroso e inarrestabile. D’altra parte, è estremamente facile abituarsi ad ascoltare quello che si desidera con un solo click, senza dover attendere per ore o giorni che un disco venga scaricato da una piattaforma pirata, e con la stessa facilità si smette di cercare in rete le canzoni giuste per la raccolta dell’estate, o per un viaggio in auto, e ci si affida semplicemente alle playlist virtuali dell’app nera e verde.

Diversi colossi della Silicon Valley cercando di contrastare l’ascesa di Spotify: Apple Music è la prima, nel 2015, a sfidare la concorrenza con contratti di esclusiva con alcuni tra i maggiori artisti del momento (come Taylor Swift), e Amazon non perde l’occasione per corteggiare questa nuova gallina dalle uova d’oro, che impoverisce le tasche dei discografici e fornisce agli ascoltatori musica a portata di tap. Nel gennaio del 2015 è la volta di Jay-Z, che tenta di immettersi nel mercato acquistando Aspiro, un gruppo quotato alla borsa di Stoccolma che ha tra i suoi asset principali il servizio di streaming musicale WiMP (il futuro Tidal).
Il tentativo di sfida a Spotify e Apple Music sarà un buco nell’acqua: un anno dopo, la società di Jay- Z farà causa agli ex proprietari di Wimp con l’accusa di aver venduto la piattaforma a un prezzo superiore al suo valore effettivo, dichiarando un numero maggiore di abbonati rispetto a quelli reali.

Il trionfo delle playlist
Spotify rimane il sovrano indiscusso di questo nuovo modo di ascoltare musica, e le persone smettono di andare nei negozi di dischi per scoprire nuovi artisti. 
Ora ci sono le playlist automatiche, con il loro (quasi) perfetto algoritmo che propone compilation plasmate sulle nostre preferenze, capaci di assecondare gusti e umore, suggerendo artisti che sicuramente impareremo ad amare, rendendoci di fatto assuefatti alla semplicità dell’ascolto. In fondo, perché pensare a una playlist per la cena di Natale, quando esiste una app che ne ha centinaia già pronte per essere ascoltate?
Spotify conosce le nostre abitudini di ascolto: “Discovery Weekly” e “Release Radar” ce lo ricordano ogni settimana, mentre “Time Capsule” ci colpisce al cuore con derive nostalgiche, ripercorrendo i brani della nostra adolescenza.
Si tratta di una fruizione fagocitante della musica, che privilegia l’ascolto immediato e quantitativo piuttosto che quello attento e profondo che spesso, nei decenni passati, ci faceva innamorare di un artista e dei suoi testi.

Non solo Spotify…
Nonostante il dominio di Spotify, esistono molte piattaforme musicali digitali, come Deezer, che ha fatto della riproduzione continua di musica una sua caratteristica distintiva, sintetizzandola nello slogan “Find your flow”, o Tidal, che ha il suo focus nel migliorare la scoperta della nuova musica, con la sezione “Tidal Rising“, dedicata agli artisti emergenti, o “Tidal X“, che consente di rivedere gli eventi esclusivi organizzati dalla piattaforma in 1080pixel.
Merita una menzione particolare Bandcamp, la piattaforma preferita dai musicisti indipendenti: ogni artista ha la possibilità di impostare la promozione della propria musica, con una pagina da costruire con biografia, contatti, album in evidenza e merchandising. Bandcamp ricorda un negozio di dischi (virtuale) in cui si può ascoltare musica gratuitamente, ma è anche possibile acquistarla nei formati che l’artista stesso ha messo a disposizione, tra vinile, CD, musicassetta o digitale, riavvicinandosi così a un’esperienza a 360 gradi, differente da quella della musica liquida completamente slegata dal supporto fisico.

L’arte della copertina
Il passaggio al digitale non dovrebbe ignorare la reale importanza della parte visiva di un album: la copertina.
L’artwork rappresenta il primo incontro con la musica, è il suo volto, in grado di racchiuderne il significato così come di lanciare un messaggio specifico, ma dall’inizio dell’era “liquida” le case discografiche non hanno mai voluto mettere a disposizione le copertine in alta risoluzione e non sono mai andate oltre l’artwork frontale. Quando la rete si è accorta di questa mancanza, ha dato vita ad alcune community di scambio e condivisione copertine in alta qualità, come per esempio AlbumArtExchange.

Dietro a questa esigenza, si cela un mondo: quello che un album racchiude, che sia esso registrato su supporto fisico o liquido, è il risultato di un complesso lavoro creativo e tecnico, che spesso e volentieri parte da un foglio e una penna, ma che poi diventa un’opera corale fino all’arrivo in negozio o in uno store digitale.

photo: Ellen Qbertplaya

E ora…?
Probabilmente sentiamo la mancanza dei CD, dei vinili e di tutte le sensazioni di cui l’arrogante diffusione della musica liquida ci ha derubato. Non sono i dettagli sonori a mancarci, quanto l’esperienza completa legata all’ascolto, quella sorta di rituale che parte dallo scartare la velina, toccare e addirittura annusare la copertina. 
Chi di noi rimpiange l’attenzione all’ultima nota o la lettura di tutti i ringraziamenti, alla scoperta degli autori dei brani, delle collaborazioni illustri o degli studi di registrazione? Chi di noi non rimpiange quel il “tempo fisico” dedicato all’esperienza di ascolto che ora, col trionfare della musica liquida in una vita liquida scorre sempre più veloce ci manca terribilmente?

Se volete saperne di più e immergervi ancora meglio in questo viaggio, non perdetevi il nostro podcast “Emozioni Liquide, dal CD allo streaming musicale”.

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