Post Mortem è la resurrezione de I Cani. E il cadavere dell’indie ringrazia

15 anni segnano l’inizio di quella che, normalmente, viene indicata come adolescenza. Qui però di acerbo e…

15 anni segnano l’inizio di quella che, normalmente, viene indicata come adolescenza. Qui però di acerbo e adolescenziale non c’è proprio nulla. Post Mortem, l’ultimo lavoro de I Cani — progetto di Niccolò Contessa, entità musicale e intellettuale ormai fuori da ogni schema — ha tutta l’aria del disco della maturità. Ma non quella che puzza di compromesso: è una maturità consapevole, scomoda, nuda. Ogni brano del disco, pubblicato lo scorso 10 aprile, trova il suo spazio in perfetto equilibrio dentro una dimensione caleidoscopica, fatta di ossessioni, autocritiche, relazioni rotte, geometrie interiori che cambiano a ogni ascolto. Un disco adulto, sì. Ma nel senso migliore del termine: quello che ha smesso di voler piacere, e per questo colpisce più forte.

Dall’autotune alla neuroanalisi: evoluzione di un “cane” da tastiera

Nel 2011 I Cani, band guidata dal cantautore Romano Niccolò Contessa, debuttano con Il sorprendente album d’esordio de I Cani, che racconta la provincia romana, i giovani precari, i centri commerciali, le paranoie digitali e l’ansia con una sincerità mai vista prima. È tutto un dualismo di bruttissimo e bellissimo, allo stesso tempo. I Cani sono l’anti-band per eccellenza: nessun volto, solo maschere di carta e testi geniali.

i cani

Nel 2013 arriva Glamour, la versione colta, filosofica e disperata dell’esordio. Poi Aurora (2016): synth ovattati, spiritualità confusa, dolore come paesaggio interiore. E infine il silenzio.

Per anni Contessa si ritira in eremitaggio come un monaco laico: produce Calcutta, fa colonne sonore, legge Lacan. Sembrava la fine ma invece era solo l’inizio, quello vero. Post Mortem è il disco che riporta I Cani in vita. O meglio: il disco che ci dice che anche da morti, qualcosa possiamo ancora dirlo.niccolò contessa

E adesso? Adesso Post Mortem. Che non è la fine, se non quella delle cazzate.

Tredici tracce, tutte minuscole. Nessun singolo, nessuna campagna, zero hype. Post Mortem è arrivato come un pugno nello stomaco ed è l’unico disco italiano del 2025 (ad adesso) che ha il coraggio di fregarsene di tutto e dire la verità.

Un disco che non chiede empatia: ti lancia addosso la sua lucidità, e ti dà un calcio in culo spingendoti nel mondo reale senza alcun libretto d’istruzioni.

Track by track

1. io

“non sono mai stato giovane / sono solo stato idiota”. E basta così. L’autoflagellazione è diventata arte. Una canzone che apre il disco come si apre un diario che non volevi più rileggere.

2. buco nero

Una depressione scritta con la freddezza di una mail aziendale. L’apatia come condizione climatica permanente. Qui il buco nero non è uno stato d’animo, è il tuo CAP.

3. colpo di tosse

Un minuto scuro come la tachipirina. Fa più effetto di molte ballad strappalacrime. È un’infezione emotiva lasciata senza cura.

4. davos

La geopolitica dell’inutilità. Un brano su chi ha il potere e non fa nulla, detto con distacco chirurgico. Ascoltarla dà la stessa sensazione di quando leggi i dati del PIL e ti senti in colpa per il tuo reddito.

5. colpevole

Una seduta d’analisi davanti a uno specchio incrinato. Tutti sono colpevoli, ma nessuno sa più di cosa. Il brano ideale per fare i conti con la tua coscienza

6. f.c.f.t.

C’è un po’ di Cani in questi Verdena. Perché diciamolo, questo pezzo potrebbe tranquillamente essere stato scritto da Alberto Ferrari and co.

“fare come fanno tutti” è la resa più disillusa che si possa scrivere. Contessa ammette che anche lui, come noi, ha smesso di resistere. È una confessione lucida, senza drammi: smetti di pensare, inizi a imitare. Il brano perfetto da ascoltare mentre clicchi “accetto i cookie” senza leggere nulla.

7. post mortem

La title track è il cuore pulsante dell’album: è l’unica canzone di rinascita vera. Ma è una rinascita muta, stanca, senza finta prosopopea. Solo qualcuno che dice: “sono ancora qui, ma non so per quanto”.

8. felice

Il brano più passivo-aggressivo del disco. Felice, ovviamente, non lo è nessuno. Ma ci provano tutti, e falliscono con grande eleganza. È la sigla perfetta per una sitcom tragica.

9. nella parte del mondo in cui sono nato

Appartenenza, alienazione, disagio geografico e spirituale. È il pezzo del “non luogo” che potrebbe essere ambientato a Roma come in qualunque altra periferia di qualsiasi altra città. L’unico confine certo è quello tra sé e gli altri.

10. madre

Un rapporto primario raccontato senza orpelli e sentimentalismi. Qui la madre non è rifugio, è radice e limite. È il brano più feroce dell’album, ma anche il più umano.

11. carbone

“tu eri carbone / bruciavi solo se ti facevo male”. Basta questa frase per chiudere tutto. Una relazione tossica raccontata come un esperimento chimico. Lucido, devastante, indimenticabile.

12. buio

Non c’è più luce, né bisogno di cercarla. Questo pezzo non ti accompagna: ti lascia lì, seduto nel buio, senza chiavi. È la fotografia dell’annientamento emotivo.

13. un’altra onda

Si chiude con un’illusione: forse un’altra onda arriva. Forse ci sarà ancora qualcosa da sentire. È malinconica, lenta, e proprio per questo ti resta addosso. Non è una conclusione. È una sospensione.

Il verdetto

Post Mortem è il miglior disco de I Cani? Sì. Perché è il più spoglio, il più scritto, il più umano. Perché è difficile, ma non inaccessibile. Perché oggi, tra i dischi che sembrano riassunti in PowerPoint, questo è una radiografia.

Contessa è tornato con un album che non salva, non consola e non semplifica. Ma ti guarda dritto. E tu non riesci a distogliere lo sguardo.

Federica Monaco

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Alberto Pani

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Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

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