Quando le Stelle si Allineano (e poi si Spengono): Viaggio tra i Supergruppi Dimenticati

Metti insieme cinque leggende della musica e avrai oro puro, giusto? Non sempre. Nel mondo della musica…

Metti insieme cinque leggende della musica e avrai oro puro, giusto? Non sempre.

Nel mondo della musica c’è una formula che sulla carta sembra infallibile: prendi membri di band leggendarie, li mescoli insieme, aggiungi un pizzico di ego e un contratto discografico. Nasce così il “supergruppo”, una creatura mitica spesso più affascinante nella teoria che nella pratica. Alcuni supergruppi, come i Traveling Wilburys, sono riusciti a lasciare un’impronta profonda pur restando meteore. Altri si sono dissolti quasi subito, schiacciati dal peso delle aspettative o dai conflitti interni. Due anni fa la nostra Sarà Bernasconi ha iniziato a parlarne nell’articolo Quando una band non basta: un viaggio nel mondo dei side projects Oggi continuiamo questo viaggio musicale riscoprendo alcuni di questi progetti effimeri ma memorabili, tra aneddoti, successi e rimpianti.

Tutto cominciò quasi per caso, quando George Harrison invitò Tom Petty, Jeff Lynne, Bob Dylan e Roy Orbison a registrare un lato B per un singolo. Quella sessione si trasformò in una delle collaborazioni più affascinanti della storia del rock: i Traveling Wilburys. I membri adottarono pseudonimi da fratelli fittizi – Lucky, Nelson, Lefty – e si divertirono a rompere le regole con ironia. Il primo album, Vol. 1, fu un successo globale. Ma la morte di Orbison poco dopo e la decisione di pubblicare il secondo disco con il titolo bizzarro Vol. 3 segnarono la fine di questa breve ma brillante parabola artistica.

Se i Wilburys furono un gioco spontaneo tra amici, Blind Faith nacque sotto i riflettori. Eric Clapton e Steve Winwood unirono le forze con Ginger Baker e Ric Grech nel 1969, in quello che fu subito definito il primo “supergruppo” della storia. Ma l’aspettativa era così alta che il loro unico album fu accolto con entusiasmo misto a critica. La controversa copertina con una ragazza nuda fece scalpore, e i rapporti tra i membri si deteriorarono durante il tour. Alla fine, tutto si sciolse in pochi mesi: talento puro, ma senza collante.

Dopo la fine dei Led Zeppelin, Jimmy Page cercava una nuova direzione. La trovò in The Firm, affiancandosi a Paul Rodgers dei Bad Company. Il progetto prometteva fuochi d’artificio, ma Page scelse deliberatamente un suono più sobrio, evitando di riproporre la maestosità dei Zeppelin. I singoli come Radioactive ebbero successo, ma mancava quell’alchimia epica a cui ci aveva abituati. Dopo due album, la band si dissolse in silenzio, vittima di confronti inevitabili.

Negli anni ’90, Bernard Sumner dei New Order e Johnny Marr degli Smiths crearono Electronic, un progetto che sembrava il sogno di ogni fan dell’indie inglese. Il singolo Getting Away with It, con Neil Tennant dei Pet Shop Boys alla voce, fu un gioiello synth-pop. Ma l’entusiasmo iniziale si scontrò con l’assenza di una direzione chiara: Sumner e Marr erano troppo impegnati con i rispettivi progetti per trasformare Electronic in qualcosa di più di un capriccio occasionale.

Nel frattempo nel cuore oscuro di Seattle nasceva uno dei supergruppi più intensi degli anni ’90: Mad Season. Composto da Layne Staley (Alice in Chains), Mike McCready (Pearl Jam) e altri veterani della scena, pubblicarono Above, un album spirituale, dolente, segnato dalla lotta alla dipendenza. La voce spezzata di Staley è il filo conduttore di un disco che è diventato culto postumo. Dopo la morte di Staley e del bassista John Baker Saunders, Mad Season si trasformò in una leggenda tragica.

Nel 2009, nessuno si aspettava che il cantante dei Hanson si sarebbe unito a James Iha (Smashing Pumpkins), Adam Schlesinger (Fountains of Wayne) e Bun E. Carlos (Cheap Trick) per creare Tinted Windows. Il risultato fu un disco power pop scanzonato e ben prodotto, che però sembrava più un esercizio di stile che un progetto con vera anima. La morte di Schlesinger nel 2020 chiuse definitivamente ogni porta a un seguito.

Forse il più effimero dei supergruppi è stato The Dirty Mac: una jam da una sola notte con John Lennon, Eric Clapton, Keith Richards e Mitch Mitchell. Il gruppo si esibì solo una volta nel 1968 durante lo speciale TV The Rolling Stones Rock and Roll Circus, eseguendo Yer Blues in una delle performance più crude e potenti di Lennon fuori dai Beatles. Un frammento raro e incandescente di storia del rock.

Nato invece dal dolore per la morte del cantante Andrew Wood, Temple of the Dog fu un gesto d’amore da parte di Chris Cornell e dei futuri membri dei Pearl Jam. Il brano Hunger Strike, con la voce doppia di Cornell e Eddie Vedder, divenne uno dei simboli più intensi del grunge. Anche se durarono solo per un album, il loro impatto fu profondo e ha lasciato un segno nella storia del rock alternativo.

Dopo la fine degli Smashing Pumpkins, Billy Corgan cercò una nuova rinascita con Zwan, portando con sé musicisti talentuosi come Paz Lenchantin e David Pajo. L’album Mary Star of the Sea mostrava un lato più luminoso e melodico, ma dietro le quinte le tensioni erano costanti. Corgan stesso definì il progetto un “errore” e chiuse tutto nel 2003, lasciando i fan con un solo, curioso capitolo.

Wild Flag fu un sogno indie-femminista: Carrie Brownstein (Sleater-Kinney), Mary Timony (Helium) e altre veterane del rock alternativo unirono le forze nel 2010. Il loro unico album fu un concentrato di energia punk, melodia e consapevolezza politica. Ma altri progetti – tra cui Portlandia, la serie tv di Brownstein – impedirono loro di continuare. Un lampo breve, ma potente.

Nel 2015, i Franz Ferdinand e i fratelli Mael degli Sparks unirono le forze per creare FFS, in un connubio pop d’avanguardia che mescolava art rock e ironia dadaista. Il loro album ricevette lodi dalla critica ma fu concepito fin dall’inizio come un esperimento a tempo determinato. Il risultato fu una festa musicale intelligente e bizzarra, come solo loro potevano concepire.

I supergruppi sono come eclissi: rari, spettacolari, e destinati a svanire. Non sono nati per durare, ma per brillare in un momento irripetibile in cui grandi personalità, storie e suoni si incrociano per un istante perfetto. Sono laboratori di libertà creativa, rifugi temporanei per artisti che vogliono sfuggire alle proprie etichette, ai propri fantasmi, o semplicemente ritrovare il piacere puro della musica senza pressioni.

Dietro ogni supergruppo c’è il desiderio infantile di tornare a suonare per il gusto di farlo, senza aspettative, senza business plan. È forse proprio questa spontaneità, fragile e imprevedibile, che li rende così preziosi. Ci mostrano che anche le leggende sono esseri umani: si cercano, si confrontano, si perdono, a volte si ritrovano.

E alla fine ciò che resta è il sogno.

Ed è in quelle canzoni, magari incise in fretta, magari mai eseguite dal vivo, che si nasconde la verità più rara del rock: la bellezza dell’incontro, la malinconia dell’occasione perduta, e la magia irripetibile di un attimo che non tornerà più.

Così, anche se molti di questi nomi sono svaniti dalle copertine e dalle playlist, restano lì, ad aspettare chi ha voglia di ascoltarli di nuovo. Non come monumenti, ma come lettere d’amore tra giganti della musica. Lettere dimenticate in un cassetto, mai davvero perdute.

Linda Flacco

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Alberto Pani

Blogger

Cresciuto ai piedi delle ridenti colline del Monferrato, tra muri di nebbia sei mesi l’ anno, zanzare incazzate nei sei mesi successivi e bocce di vino rosso sempre e comunque per stemperare il disagio così accumulato.

Chitarrista fuori forma.

Fermamente convinto che 8 volte su 10 le cose si risolvano da sole.

Punto debole: la meteoropatia