The Last Dinner Party: oltre l’hype?

Fresche di vittoria ai BRIT Awards e ai BBC Sounds, in tour per l’Europa (saranno in Italia…

Fresche di vittoria ai BRIT Awards e ai BBC Sounds, in tour per l’Europa (saranno in Italia proprio in questi giorni, con una data a Milano) e con un album di debutto dal titolo forse premonitore – “Prelude to Ecstasy” – che sta raccogliendo recensioni entusiaste.
Non c’è che dire, l’anno delle The Last Dinner Party è iniziato piuttosto bene: ne parliamo in questo pezzo, cercando di analizzare non solo il loro primo lavoro, ma anche il contesto del loro successo, che è certamente oggettivo. Sarà anche duraturo?

photo: Press

Qualche tempo fa, le The Last Dinner Party, hanno invitato tutti alla loro festa – quella dell’uscita del loro album – con queste parole:

“If this is in your inbox, congratulations, we consider you to have excellent taste in music, and would like to cordially invite you to listen to our debut album ‘Prelude To Ecstasy’…”

Indubbiamente un modo efficace di fare marketing e attirare l’attenzione tra le mille e-mail. Ma cosa c’è al di là della promozione?

La band, formata da Abigail Morris (voce), Lizzie Mayland (chitarra, flauto), Emily Roberts (chitarra, mandolino), Georgia Davies (basso) e Aurora Nishevci (tastiera, organo, pianoforte, sintetizzatore) si è formata al college nel 2020, per poi completare la formazione e iniziare a suonare nei locali di Londra nel 2021, un biennio decisamente non idilliaco per decidere di dare vita a un gruppo musicale.
Il contesto complicato, però, non ha frenato l’ascesa di queste ragazze ventenni con la voglia di urlare al mondo la cruda amarezza di sentimenti scomodi e profondi: anzi, è stata proprio la dimensione live a contribuire al passaparola e a diffondere il loro nome sulle scena indie britannica come quello della nuova “next best thing”, fino alla svolta definitiva, avvenuta con la pubblicazione di una loro esibizione sul canale dello youtuber Lou Smith, nel 2022.

Si potrebbe facilmente parlare del solito hype che avvolge tante nuove band, spesso senza motivi davvero concreti: forse in parte è così, perché in questa nostra epoca nessuno crede più al successo scevro da logiche di marketing, e le ragazze ora hanno come etichetta la Island Records e come produttore James Ford (Arctic Monkeys, Blur, Gorillaz, Depeche Mode, Florence and The Machine e tanti altri), non esattamente due nomi sconosciuti.
Eppure, sembrerebbe esserci anche qualcosa di più, che va oltre il marketing per viaggiare in un mondo musicale certamente non inedito, ma ugualmente affascinante.

Le intenzioni erano chiare già dal singolo che ha anticipato l’album, “Nothing Matters“, un concentrato di brit-rock anni 2000 e ritornello pop, dalle parole furbescamente dirette “And you can hold me, like he held her, and I will fuck you, like nothing matters“. Quanto basta per travalicare rapidamente i confini della capitale inglese, riempiendo radio e playlist Spotify.
Da un ascolto dell’intero album, però, la sostanza (oltre la forma) appare oggettivamente presente: pezzi come “Feminine Urge“, “Caesar on a TV screen” e “The Sinner” mescolano sapientemente atmosfere di respiro gotico e barocco a ritmi indie rock incalzanti e orecchiabili.
Inutile dire che, in un panorama musicale mainstream sempre più omologato e pronto a sacrificare gli strumenti e la voce pulita, assistere al successo di una band di ragazze giovani, sfrontate e che amano suonare, sia una bella boccata d’ossigeno per chi ama il genere. 

Gli esempi di band femminili – purtroppo sempre troppo poche – che sono riuscite a emergere e a creare un po’ di movimento nel settore indie rock ci sono: basti pensare al fenomeno delle Wet Leg, esploso solo negli ultimi due anni, oppure a esempi meno popolari ma ugualmente rilevanti come The Big Moon e le Cruel Hearts Club, per non parlare delle The Pipettes, andando un po’ indietro nel tempo. 
Ad accomunare queste belle storie, però, è troppo spesso la durata: dopo il successo di streaming e classifica, dopo intensi tour internazionali e un tripudio di contenuti social che aumentano visualizzazioni e commenti, assistiamo troppo di frequente alla curva discendente che, nei casi migliori corrisponde alla fine dell’hype, mentre in quelli peggiori alla scomparsa dalle scene.

Chiaramente, non è quello che ci auguriamo per The Last Dinner Party, ma è innegabile che servirà aspettare per giudicare meglio e che un solo primo album non può dire abbastanza.
La speranza di vedere finalmente un progetto del genere crescere, evolvere e assumere un’identità sempre più forte c’è: nell’attesa, non ci resta che godere delle note piacevoli del loro bel debutto.

Sara Bernasconi

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