Appino e le voci degli esseri umani

Il 17 novembre è uscito “Humanize“, il nuovo album di Andrea Appino e il terzo da solista…

Il 17 novembre è uscito “Humanize“, il nuovo album di Andrea Appino e il terzo da solista per il cantautore toscano dopo “Il Testamento” (2013) e “Il grande raccordo animale” (2015).
Il titolo usa l’inglese per strizzare l’occhio a un linguaggio giovanile, ma va a scavare in temi e retaggi molto antichi: cosa significa essere umani? Lo siamo ancora? E soprattutto: siamo contenti di esserlo?

Per farlo, l’album non si limita a proporci nuove canzoni, ma le intervalla da composizioni di registrazioni ed estratti di conversazioni e interviste: sono i “comizi di umanità” che Appino ha registrato insieme al suo collaboratore Davide Barbafiera nei primi mesi dell’anno, spostandosi tra carceri, RSA, centri diurni, bar.
Abbiamo assistito a una di queste serate (e tutti noi abbiamo pensato che si trattasse di un podcast, non di un nuovo album) e possiamo confermare che si è trattato di un momento surrealmente intenso, di quelli che mancano sempre di più in questa strana epoca veloce e digitale: persone sconosciute, divise a piccoli gruppi, rispondevano alle domande di Appino che, munito di microfono, le guardava fisso negli occhi e poneva loro quesiti come: “Ciao! Hai mai provato odio?”

Questo tipo di approccio non dovrebbe stupire troppo, correlato all’animo del frontman degli Zen Circus che, da sempre, va a scandagliare le debolezze e i lati più scomodi dell’essere umano e che, in un’intervista di qualche anno fa, è arrivato candidamente a dichiarare: “Io voglio scrivere canzoni che fanno male“. Eppure, ora più che mai, la raccolta di certe affermazioni e la riflessione sulle sensazioni che provocano sono uno schiaffone in faccia: necessario, forse, ma pur sempre uno schiaffone.

Il giorno di uscita dell’album, Appino si è premurato di consigliare di selezionare la modalità “gapless” su Spotify, per poter ascoltare le tracce tutte d’un fiato, senza interruzione. Questo, infatti, è un lavoro da ascoltare con il giusto livello di attenzione e, soprattutto, con la giusta predisposizione a sentire qualcosa che ci turberà e ci farà riflettere.

La cover di Humanize (credits: Photographer Hal)

Già al primo ascolto, è facile individuare in “Metti questa al mio funerale” il pezzo migliore, amaro e forte, che ci riporta subito ai picchi compositivi di Appino e che ci conforta dopo le quattro tracce uscite come anticipazione dell’album: ascoltate singolarmente ed estrapolate dal contesto generale dell’album, infatti, “Carnevale“, “Enduro“, “Il Genio Della Lampada” ed “E’ solo una bomba” risultavano indebolite e, in ogni caso, distanti dallo stile compositivo a cui Appino ci ha abituato nel tempo.
Metti questa al mio funerale” rimette tutto al posto giusto, a livello di melodia e di produzione, e ci destabilizza nel tipico stile appiniano: la canzone esplora il lato oscuro, quell’area, più o meno netta e più o meno nera, che tutti portiamo dentro noi, e che è pronta a rivelarsi nei modi più diversi per mostrare il nostro volto più scomodo ma più vero, perché “tutti si vergognano del lato oscuro, ma poi lo invocano all’ombra del loro stesso muro – il lato oscuro non fa male, è solo amore”.

Continuando l’ascolto immersivo con cuffie e occhi socchiusi, distribuiti qua e là incrociamo gli altri momenti migliori di “Humanize”.
Il mondo perfetto” è una sorta di risposta a “Il Mondo che vorrei” cantato dagli Zen Circus in uno dei loro album più riusciti, “La terza guerra mondiale”: con le sue parole pungenti – “con le interazioni cambieremo tutto e costruiremo il mondo perfetto, io sono qui solamente per dirvi che mi mancate umani e, quindi, mi manco anch’io” – ci ricorda l’insostenibile leggerezza dell’apparenza e nasconde dietro a una melodia scanzonata il distacco da noi stessi.
La fine di un ragazzo” arriva come un pugno nello stomaco e affronta il tema della morte e della malattia con lucida brutalità, esattamente come Appino ha già fatto in uno dei suoi pezzi migliori in assoluto, “Il Testamento“: proprio come nella traccia ispirata dal suicidio di Mario Monicelli, infatti, anche in questo caso l’autore ci dona un racconto in prima persona, immedesimandosi nel punto di vista bruciante e commovente della vittima e del malato.
A chiudere il disco arriva “Ora“, una canzone lenta e intensa che sembra metabolizzare tutto il dolore scandagliato nelle tracce precedenti: il male c’è, il lato oscuro esiste, essere umani può essere crudele e ingiusto, ma accettarlo è l’unico modo per conviverci e per vivere nel miglior modo che ci è concesso. Perché siamo ancora in tempo, sembra suggerire con un soffio questa ultima canzone.
In mezzo, ci sono gli “hmnz#“, ossia gli intermezzi tematici in cui le persone intervistate sviscerano pensieri ed emozioni su temi come la morte, l’odio, la guerra, l’amore, il denaro, la religione, la rabbia.

credits: pagina Facebook di Appino

Humanize” è un album difficile, duro, pesante, che non contiene le melodie orecchiabili degli Zen Circus e necessita di diversi ascolti per essere compreso, che spesso ci depista con sonorità che affossano le chitarre e privilegiano l’elettronico e che, soprattutto, ci stordisce con la sua crudezza narrativa.

Al tempo stesso, quella di Appino si conferma una voce coraggiosa e necessaria, soprattutto in un momento come questo, in cui l’umanità sembra davvero essere un concetto lontano dal nostro presente e dalla nostra realtà.
Fa male sentirsi dire che possiamo essere cupi e che la vita sa essere spietata? Sì.
Qualcuno ha la risposta per stare meglio? No.
Cosa possiamo fare? Una sola cosa, con dolore o con serenità, con amore o con odio, con speranza o con cinismo: guardare lo specchio, fare un gran respiro e accettare di essere umani.

Sara Bernasconi

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